In questi giorni, ve ne sarete accorti pure voi - magari senza averne piena consapevolezza - si è realizzato ciò che i creatori di Storylab (e Marco Sangalli in particolare) avevano preventivato, cioè il primato della "comunità" sul singolo, la capacità di essere interessanti, coinvolgenti, da parte del gruppo piuttosto che dell'individuo. La riprova sono proprio i post pubblicati da Facebook, con il gradimento maggiore per quelli scelti con sapienza da Fiorenza Legrenzi, prendendo spunto dai commenti dei lettori, poiché per quanto abile possa essere il redattore mai riuscirà ad essere competente e fantasioso e vario quanto la somma degli amici di Storylab, la comunità appunto.
Prendiamo la fotografia odierna. Ad impegnarsi e contando sul proprio mestiere chi scrive potrebbe far notare l'eleganza degli archi oppure soffermarsi su quel lampo della persona in bicicletta, unica a sfuggire dalla staticità inesorabile dello scatto, o ancora interrogarsi su chi era, dove andava, cosa pensava il ragazzo al centro della scena, con sotto il braccio un enorme pacco. Dettagli, spunti, colpi di pennello. Ad aver tempo e voglia di dedicarsi ai commenti invece, allora sì che ai personaggi in cerca d'autore si sostituisce uno sceneggiato, la storia intrigante di quel lembo di città e dei negozi che lo animavano.
"Sotto quei portici, nel primo dopoguerra, c'era uno dei pochi negozi di abbigliamento confezionato, tessili, stoffe e varie della città (Magazzini Italiani) - racconta Annaluisa - poi venne Tadini (non so se la proprietà fosse la stessa), che vendeva abiti pronti, soprabiti, cappotti pantaloni di prezzo buono,non ricordo se solo da uomo. Fino ad allora, soprattutto per donne e bambini, ci si serviva solo di sarti e sartine, che spesso venivano in casa e arrangiavano abiti riciclati o con la stoffa nuova, per tutta la famiglia. C'erano in città negozi di abiti più signorili (Petronio, Sacerdote, un altro a Porta Nuova del quale non ricordo il nome) ma erano frequentati solo da avvocati, medici,industriali, con prezzi fuori dalla portata della classe media. Tadini resistette fino alla fine degli anni Sessanta, riconvertendo il piano superiore in abbigliamento giovane, tipo boutique, forse una delle prime a Bergamo a vendere quel tipo di abbigliamento. Infine sparì, lasciandi il posto al Nessi (bambini), poi via via a librerie, caffè, supermercati. Ma il ricordo di quel negozio rimane vivo a chi è stato giovane in quegli anni e la foto lo fa rivivere. Chissà se ricordo bene la storia.. a volte la memoria fa brutti scherzi!".
"E poi aprì anche il mitico Bar Haiti del Tino" aggiunge Andrea, a cui fa da eco Liliana: "Io e la mia famiglia siamo nati sopra i negozi Tadini, conoscevamo bene i Tadini e mio zio era il loro ragioniere, quando sono nata nel 1957 c'erano ancora e mi ricordo il bar Haiti, bei ricordi. Abitavamo in alto dove c'è tutt'ora il terrazzo con le colonnine". Ma è ancora Annaluisa a fare da chiosa: "Nella stessa casa della signora Liliana non c'era un dentista? Il dottor Bruni era il mio incubo di ragazzina... Allora le cure ai denti erano dolorose e molto facili le estrazioni!"
E così via, di ricordo in ricordo, a rendere viva un'immagine che altrimenti farebbe scena muta o, nella migliore delle ipotesi, direbbe poco, mentre la storia si ricostruisce così, tutti insieme, fianco a fianco.