Schilpario, valle di Scalve, primi anni del Novecento. Sembrano bambole,
a rivederli ora, o personaggi del presepe, con i loro copricapi in
testa, le piccole gerla, gli abiti da adulti in quei corpi minuti di
bimbi, i piedi scalzi.
Una poesia che tuttavia per essere tale deve
dimenticare gli stenti, i sacrifici, le ristrettezze con cui si doveva
fare i conti allora, per diventare grandi, senza la ricchezza e gli agi
che ci sembrano naturali ora. Infatti basta guardarli negli occhi,
quei "monelli" che monelli non erano, per accorgersi della loro vita
agra. Un crescere con la cinghia tirata che limava i sorrisi, pur se non
li cancellava (perché in qualsiasi tempo, in qualsiasi circostanza, un
bambino conserva la sua capacità di buon umore, di scovare un appiglio
per la scintilla di una risata).