Il carretto passava e quell'uomo gridava... patate. Probabilmente
patate. Certo non gelati, come nella canzone I giardini di marzo di Lucio Battisti .
Siamo a Bergamo, nel 1954, in via Andrea Previtali, in un tempo in cui davvero "al 21 del mese i soldi erano già finiti", perché le macerie della guerra erano state spazzate via ma le cicatrici restavano.
Era un'Italia di mezzo, proprio come sulla strada quel carretto con un sacco di iuta, in cui "I giardini di marzo", quelli che "si vestono di nuovi colori e le giovani donne in quei mesi vivono nuovi amori", non avevano germogliato.
Di lì a pochi anni l'orizzonte sarebbe completamente mutato, rotto il precario equilibrio di sospensione tra timori e speranze, tra vecchio e nuovo, tra una città che per larghi tratti era ancora campagna e il centro urbano che conosciamo.
L'uomo accanto al carretto, con le sue mani ai fianchi, il gilet scuro e la camicia bianca sembra guardare proprio a noi o forse siamo noi che ci sentiamo osservati da quel passato che abbiamo relegato in un angolo, ma resta al centro della scena, raccontando chi eravamo.