Ce ne andremo così come siamo venuti, non è così? Era questa domanda a frullarmi in testa osservando una vecchia fotografia di Clusone negli anni trenta.
È un’immagine della zona dove abito, nemmeno così lontana nel tempo, dopo tutto.
Ma la mia casa non c'è.
Al suo posto un prato immenso intervallato da strade bianche, e tanta erba che pare muoversi nell'aria, che io immagino muoversi fuori da questa foto in bianco e nero, e che frusciava nel vento di limpidi giorni estivi, giorni simili ai nostri ma che nessuno di noi ha mai vissuto.
Le montagne spoglie, senza nemmeno una pianta.
Il mondo come nuovo, e di noi nessuna traccia.
Che cosa è successo dopo?
Una vertigine mi prende guardando questo vuoto che mi precedeva e mi è sconosciuto, e che pure mi è dato adesso di conoscere, ed è una vertigine mista a terrore per la mia e la nostra assenza in quel mondo silenzioso e immobile.
Questo disagio ha un senso ben preciso, perché il mistero di quel passato senza di noi è lo stesso del futuro, quello lontano in cui altre foto racconteranno di luoghi in cui noi c'eravamo e ora non ci siamo più, di case che ieri abitavamo e domani chissà.
Quanti commenti dei lettori di StoryLab lamentano il cambiamento del paesaggio, denunciando l’avvento selvaggio di capannoni in zone prima di allora agricole, e dei palazzi squadrati dell’edilizia popolare nelle periferie. Siamo sempre tentati di voler tornare ad un passato che con gli occhi del presente appare idilliaco e meraviglioso: niente di più classico.
Ma quel che più spesso ci pervade è un sentimento di nostalgia vaga per qualcosa di perduto.
Che nome ha questa sensazione?
È una vertigine istruttiva, è un tentativo di abituarsi all'assenza. È anche alla base della nostra curiosità verso le fotografie dei luoghi conosciuti, che esaminiamo nei minimi particolari alla ricerca di qualcosa, un dettaglio in cui riconoscerci, o meglio: un dettaglio in cui riconoscere il nostro mondo di oggi, in modo da convincerci che sì, era là anche ieri. E forse, chissà, sarà là anche domani.
Quel che cerchiamo nella vecchia foto della nostra via e del nostro quartiere è quel che è rimasto, quel che non è cambiato ed è giunto a noi, che sia un palazzo, un’insegna sbiadita, un balcone; o più semplicemente, la familiare cornice del paesaggio.
E allo stesso tempo, forse senza accorgercene, stiamo cercando di indovinare ciò che rimarrà: di noi, delle nostre esistenze che di qui passano e lasciano qualcosa, ma cosa?
Quel che cerchiamo non ha nome, e se ce l’ha non lo conosciamo. Siamo attirati dall’assenza che ogni immagine emana; sapendo che quell’assenza sarà anche la nostra.