Ci sono le immagini vecchie, quelle d'epoca e quelle antiche o addirittura antichissime. Poi c'è questa, senza tempo, un piccolo capolavoro d'arte, perfettamente equilibrato, con una prospettiva da mozzare il fiato ed abbracciare tutto insieme un quartiere, il vialone, gli alberi e i palazzi d'allora.
Se questo quadro non bastasse, ecco in un angolo, quasi in un ritaglio, fotografia nella fotografia, il ritratto di una famiglia o almeno parte di essa, con tre personaggi che guardano direttamente in camera e hanno occhi tanto penetranti da far sentire in quel lembo di pellicola tuttora vispa, pulsante, la vita.
C'è il ragazzo accigliato, dallo sguardo severo, in primo piano, che vuole sembrare più grande di quel che è, che era. E la dama imponente, con l'ombrellino candido, in tinta con la camiciola e il cappello ornato a mo' di giardino, in primavera. Infine la signora più bassa, voltata di tre quarti e vestita di scuro, dalla testa ai piedi (viaggio breve, essendo essa di altezza modesta). L'espressione che ci ha colpito di più è proprio quella del suo viso, che ride, d'una risata niente affatto scomposta e al tempo stesso ricca, piena. Un'ironia ai limiti del sarcasmo, così almeno appare a noi, che la guardiamo a più di un secolo di distanza, senza sapere con certezza la ragione per cui sorrideva, felice e beata.
P.S. Non lo conosciamo con certezza, è vero, ma vagamente lo sospettiamo il motivo di quello sguardo, d'irrisione nei confronti di chi ha scattato la fotografia e ancor più di noi, che la osserviamo ora, pensando che questa foto sia senza tempo mentre un tempo ce l'ha, perché tutto inizia e tutto finisce, nulla si conserva. Allora le reazioni sono due: o ci si dispera o ci si ride sopra, con gusto, proprio come la donna vestita di scuro nella fotografia.