Il bello è negli occhi di chi guarda e ammettiamo che le dosi abbondanti
di generosità nei confronti della città amata spesso fanno velo,
cancellando pagliuzze negli occhi e peli nell'uovo.
Qui però
dobbiamo ammettere che occorre un grammo in più di indulgenza per
trovare bellezza e armonia in uno dei riquadri di Bergamo che
pur(troppo) meno sono cambiati negli ultimi cinquant'anni e tuttora
danno brutta mostra di sé, sia al cittadino residente sia al passante
distratto.
A stridere quanto
un'unghia sul vetro non sono i singoli elementi, poiché presi uno a uno
quel viadotto, quel cavalcavia, quel palazzo che sembra un fungo
sgraziato potrebbero persino risultare elementi di un paesaggio
post moderno o di un film pasoliniano. A stonare invece è proprio il
loro insieme, l'accostamento che li rende periferia desolata e spoglia e
grigia, quasi non appartengano al Bel Paese cantato e decantato per
secoli e secoli, bensì fossero residuati di una città degli anni
Settanta della Bulgaria o dell'Unione Sovietica.
Parole dure, lo sappiamo, ma mentire non possiamo, soprattutto quando si discute di una città a cui si vuol bene davvero.