Incurante della perenne presenza di qualcuno "più a nord" di noi, c'è sempre chi ritiene d'essere più puro dei puri, più autentico degli autentici, più originale di ciò che è originale. Ogni frazione, paese, quartiere ha questo romantico orgoglio. Una sacrosanta ambizione, che fa rima con "illusione" soltanto nell'abbecedario dei cinici. La prendiamo larga, perché per far da didascalia alla fotografia di oggi dobbiamo camminare in punta di piedi e usare tutto il rispetto possibile, sapendo quanto gli abitanti del borgo in questione tengano alla loro appartenenza, tanto da risultare a un osservatore distratto persino suscettibili.
Redona è più di un grumo di case, di un dedalo di vie, di una porzione di terra tra la città e le valli. Redona è sangue che corre nelle vene, radici piantate profonde, un modo di atteggiarsi e pensare. Redona è il cordone ombelicale della "bergamaschità" o, se preferite, la cartina di Tornasole. Un segno distintivo fiero e indelebile che si trasmette da padre in figlio, di generazione in generazione, di soglia in soglia, mattone su mattone. Un tatuaggio sotto pelle che soltanto chi è cresciuto lì può comprendere pienamente e che si traduce in un mantra ripetuto mille volte: "Bergamo nazione, Redona capitale". Nei secoli dei secoli. Amen.
P.S. Dedicato agli amici che ho lì e dei quali ho sempre pensato che un giorno, quando avrò bisogno di "esilio", mi apriranno le porte, nonostante a Redona abbia messo piede soltanto tre volte.