"Dimmelo tu cos'è. Quello che ancora ci manca, e che ti prende alle spalle e non ci fa tornare indietro. Dimmelo tu cos'è".
Lo domanda Venditti, provo a rispondergli io, mentre osservo questa fotografia e vorrei con buona parte delle mie forze essere lì, tornare bambino, mettere le calze bianche traforate a gambaletto e i sansaletti blu con quattro buchi, i calzoni corti e la maglietta della Susanna, del formaggino Tigre o del Plasmoniano.
Vorrei anche soltanto per un istante provare l'emozione di allora, con un pallone tra i piedi o giocando a nascondino ad un angolo di strada che potrebbe essere questa, tra via Maglio del Lotto e la strada provinciale 591, in barba ai - rari - pericoli e alle auto che passavano. E vorrei accarezzare il viso di quella bimba bellissima, con il vestitino bianco, vorrei sussurrarle quattro parole all'orecchio, piano piano, le uniche che mi sarebbero venute in mente allora, con cuore grande, come ogni bambino: "Vuoi essere mia amica?". E non importa se non mi avrebbe risposto, sarei stato già felice per un sorriso, uno sguardo, un sospiro. I silenzi dei piccini dicono più di un romanzo.
Cosa manca allora, cosa ci prende alle spalle e non ci fa tornare indietro? Credo non sia qualcosa che manca, bensì il troppo che abbiamo, che conosciamo. Il desiderio di diventare grandi ci ha fatto crescere ma anche corrotto, sottraendo dal conto dei nostri giorni l'innocenza, lo stupore nell'osservare il mondo. Una meraviglia che non è scomparsa del tutto, a volte la proviamo ancora, come adesso, guardando questa fotografia e chiudendo gli occhi, di scatto, immaginando di essere noi quei bambini e tornando per il tempo di uno schiocco di dita esattamente come loro.