Una storia di vigna e di vita

Due sedie in mezzo alla vigna. Siamo a Scanzorosciate, località Tribulina, e su quelle sedie Pietro Brignoli e Benvenuta Epis posano di fronte all’obbiettivo. Lui con il vestito della festa, sguardo fisso in camera, fiero e serio; lei con il classico grembiule nero che mal si accosta ai suoi occhi e all’espressione del suo viso, così dolce e mansueto. Alle loro spalle il paesaggio collinare e i tralci di vite del famoso Moscato di Scanzo, perla della produzione enologica bergamasca, unico vino su tutto il territorio provinciale a vantare il marchio DOCG.

Il Moscato di Scanzo è anche uno dei vini più antichi d’Italia, di cui si trovano testimonianze scritte già nel XIV secolo, nelle cronache degli scontri tra Guelfi e Ghibellini dove le botticelle di moscadello erano ambito trofeo. Altri documenti storici ne confermano la particolare fortuna nel corso dei secoli: nel Settecento l’architetto bergamasco Giacomo Quarenghi ne fece omaggio alla zarina Caterina II di Russia e da qui raggiunse fama e notorietà in tutta Europa. Pare che a quell’epoca fosse il vino più caro al mondo, unico vino italiano ad essere quotato alla Borsa di Londra.

Gli esperti dicono sia un tipico vino da meditazione, estremamente profumato, dagli aromi fruttati e speziati. Ma prima che di frutti di bosco e marasche, è un vino che sa di fatica e sudore, passione e amore. Ci sono lavori che non possono prescindere dall’amore, come il lavoro del vignaiolo. Così deve essere stato per Pietro e Benvenuta e per i tanti viticoltori che hanno fatto della vigna e del suo prodotto la loro vita, e che hanno poi saputo tramandare la loro passione ed esperienza alle generazioni successive.

Non perdiamo memoria dei nostri nonni, di chi prima di noi ha fatto la storia del nostro territorio e delle sue eccellenze. Storylab ci aiuta proprio in questo, raccoglie le immagini del passato perché continuino a raccontare la nostra storia e a ricordarci da dove veniamo.

Fiorenza
Fiorenza Legrenzi

Zogno. Ma son desto

Piccolo spaccato di una Bergamo remota

Via Quarenghi negli anni Sessanta