Una stele. Un blocco di pietra, la statua bronzea di un fante, con la bandiera, quattro colonnine ai lati, un basamento, due gradini e nulla più. Per ricordare i morti della grande guerra non si usavano monumenti imponenti, in quel tempo gramo ch'era la metà del Novecento la sobrietà diventava virtuosa, oltre che necessaria.
I nomi incisi in ordine alfabetico bastavano e avanzavano, considerato che padri, madri, sorelle, fratelli, figlie e figli dei Caduti preferivano alla retorica la compostezza del camposanto, per il ricordo, qualche lacrima e una preghiera. L'originalità di quest'immagine di Zogno, in Val Brembana, ruota attorno al monumento come a un perno, manifestandosi nella cura dei prati rasati, delle aiuole, dei piccoli pini piantumati a far da sentinella e in quello scorcio di case arroccate, appiccicate una all'altra, in un disordine che già al primo colpo d'occhio appare come somma bellezza.
È il ritratto di un paese vivo, reale, cresciuto pezzo per pezzo senza criterio d'urbanista, ma che esprime in ogni mattone, in ogni tegola, un frammento di vita, di comunità, di storia.