Don Alessandro Roncelli (1838-1868) “Morto in odor di santità”. Siamo nei primi Anni Cinquanta dell’Ottocento. Domenico Roncelli, un maturo mezzadro che arrotonda i magri proventi di lavoratore della terra altrui con l’attività di “carrettiere”, nato a Caprino nel 1807, giunge con la famiglia ad abitare in Terno, al n. 59 della Contrada S. Donato (oggi Via Mercato). Gente poverissima e di solidi principi cristiani che resteranno tuttavia integri anche nel laico clima risorgimentale che proprio a Terno sarà gradualmente ansimato dai figli maschi quando cresceranno accanto a quelli delle famiglie idealmente schierate sul fronte “democratico” dei Bravi, Taramelli, Zanchi, Marra, Gambirasio, Cisana. Ma si tratta di una famiglia sfortunata, quella di Domenico Roncelli, poiché dopo pochi mesi si ammala la giovane moglie Eufemia Brivio che se ne va poi al Creatore lasciando nella disperazione il marito con quattro figli da crescere: Giuseppe (n.1835), Alessandro (n.1838), Daniele (n.1846) e il neonato Domenico (n.1851). Un dramma tra i tanti in questo tormentato periodo storico dominato dalla miseria, dalle epidemie e dalla voglia di riscatto dallo straniero che occupa anche fisicamente il territorio e le istituzioni. Non conosciamo il grado di parentela di questa famiglia con quelle dei due giovani Roncelli di Almenno che dalla polizia austriaca sono perseguitati, e poi fucilati (uno nel 1848 e l’altro nel 1850) per l’ardente sete di libertà. Sappiamo che a Terno, dopo il “Quarantotto” insurrezionale che per alcuni mesi aveva liberato anche il territorio di Bergamo, il portentoso Bortolo Taramelli (1780-1855), ricco proprietario terriero con negozio di “pizzicagnolo” sotto la sua abitazione in piazza, e il suo gruppo “democratico”, sono censurati e poi sottoposti ad attenta vigilanza dalla polizia austriaca poiché svolgono azioni di protesta al limite dell’eversione sia all’interno del Convocato dei possidenti, sia nella stessa Deputazione che guida l’amministrazione comunale. Anche sull’Isola, in questi anni post-rivoluzionari, si soffre la durissima repressione austriaca. Una cruenta squadra di militari, giorno e notte, limita la libertà di movimento vigilando i confini comunali con pattugliamenti armati. Il tutto a spese di chi paga “l’estem” accanto ad imposte più che mai inasprite dall’impero oltralpe per ritorsione al Quarantotto e per l’umiliante condizione di potenziare la costosa occupazione militare della Lombardia e del Veneto. A Terno, dopo i Roncelli, giungono ad abitare nella casa di Giuseppe Bravi le quattro piccole Rota Rossi con la giovane madre Teresa Bravi (1812-1859). Quest’unica sorella di Giuseppe, rimasta vedova dall’ingegner Luigi Rota Rossi, per questioni affettive e di salute giunge in Contrada dei Bravi per restare accanto all’anziano padre e al fratello. Ma anche questa famiglia, seppur facoltosa, è assai sfortunata poiché dopo tre mesi di sofferenza muore il capostipite Giovanni Carlo (1781-1853) e poi la stessa Teresa. Giuseppe (1808-1875), celibe, gran proprietario terriero, detentore di una proficua filanda e dal 1853 nominato primo deputato, si trova dunque a dover far da genitore alle giovani nipoti rimaste orfane accanto a lui. Giulia (1840-1874), Enrica (1842-1876), Ester (1845-1883) e la piccola Vittoria (1848-1911) Rota Rossi, crescono frequentando la scuola primaria e la parrocchia come i fratelli Roncelli. Nelle ore libere, come tutti i ragazzi, giocano in piazza e si confrontano con le varie e limitate conoscenze di vita. Ma gli anni passano. Giuseppe, il primogenito dei Roncelli, divenuto un giovanotto intraprendente, al numero 29 della piazza apre un’officina di fabbro. In famiglia, è il più infervorato dagli ideali democratici di giustizia sociale e di libertà dallo straniero. Nel gennaio 1859, con altri tre ragazzi del paese (Antonio Cisana, Bortolo Bravi e Giovanni Gambirasio) si organizza per raggiungere clandestinamente il Piemonte al fine di liberare il lombardo-veneto arruolandosi nel corpo dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi. Alessandro, secondogenito, un ragazzo giudizioso, intelligente e assai riflessivo, non nasconde la propensione “liberale” e democratica di famiglia ma nel suo intimo coltiva il desiderio di andare in Seminario. Per accedere agli ordini sacri, in questo periodo, bisogna essere garantiti economicamente dalla famiglia o chi per lei. Forse, ma di questo non abbiamo certezze, per frequentare il seminario in città, il poverissimo Alessandro è sostenuto economicamente da Giuseppe Bravi, primo deputato ma anche generoso fabbriciere parrocchiale da circa vent'anni, dal tempo del prevosto don Giuseppe Rota. Dopo le recenti e spaventosi epidemie di colera, vaiolo e verminosi, accompagnate da carestie, malnutrizione, pellagra e scorbuto che hanno distrutto intere famiglie tra atroci sofferenze, annichilito il morale e la speranza cristiana di tutta la popolazione, e dopo la profonda frattura tra Parrocchia e Deputazione per l’avanzare degli eventi risorgimentali, e non solo, il cristiano desiderio del seminarista Alessandro è di riportare fede, conciliazione e assistenza umanitaria alla frastornata comunità ternese sull'esempio di don Giuseppe Rota. Il Santo prevosto, morto nel 1847, è ancora assai presente nei sentimenti della gente e questo è gratificato con eventi miracolosi che accadono per sua intercessione attorno alla Cella mortuaria. Nel frattempo, anche il piccolo Daniele Roncelli manifesta volontà di seguire presto la strada del fratello per diventare sacerdote. Un lunedì santo di aprile 1860, mentre alcune famiglie del paese sono in angoscia per i loro figli che si trovano al seguito di Garibaldi per liberare l’Italia meridionale dal Borbone e per altri che si sono volontariamente arruolati nell’esercito Sardo-Piemontese che da giugno 1859, accanto al corpo dei Cacciatori delle Alpi, ha già liberato la Lombardia dagli austriaci e mentre il prevosto-vicario don Ferdinando Bagini è rinchiuso nelle “carceri criminali” di S. Agata per sospetto di fomentare rivolte contro il nuovo governo regionale di liberazione, don Alessandro Roncelli è insediato nella parrocchia di Terno con l’incarico di coadiutore. Ha solo 22 anni, ma è già molto amato poiché dotato di profondo spirito pastorale, di concretezza sociale e con tanta voglia di ricucire il doloroso strappo che la Chiesa locale ha avuto con lo stimato sindaco interinale Giuseppe Bravi e con buona parte dei democratici che guardano con simpatia il Partito d’Azione di Garibaldi accanto ai liberali moderati di Cavour che da pochi mesi guidano la nuova amministrazione locale con sviluppi anticlericali per protesta contro la Chiesa di Bergamo che patteggia apertamente per l’Austria. Il 19 ottobre 1860, dopo le prime elezioni amministrative, si riunisce il Consiglio comunale. La discussione si focalizza sulla circolare del “Regio Ispettorato degli Studi primari di Bergamo” che all'Amministrazione, tutta d’impronta liberale, chiede: “Invece di nominare una Giunta d’ispezione per le scuole elementari, ne affidi la direzione ad un solo individuo, scelto saggiamente fra le persone più autorevole e probe del paese, il quale sappia apprezzare le modeste si, ma utilissime funzioni dell’Educatore primario, e ad intelligente solerzia per la pubblica istruzione accoppi sentimenti liberali”. La Chiesa locale, seppur accusata severamente di “antitalianità”, realmente schierata sul versante conservatore in deferenza episcopale, cerca il compromesso poiché ora abbina “intelligente solerzia” a “sentimenti liberali” pur di consegnare l’importante incarico educativo popolare ad un proprio coadiutore. Il Consiglio comunale, seppur dopo aver rifiutato il ruolo di maestro elementare al candidato don Giovanni Mazzoleni di Terno, oltremodo schierato con i tradizionalisti per ragioni di coscienza, a sua volta cerca il “compromesso”; ossia l’arduo tentativo di ravvicinamento tra Parrocchia e Comune, tra Giuseppe Bravi e don Ferdinando Bagini uscito dal carcere. Per la Chiesa, è il nascente Stato liberale il nemico da contrastare, mentre la comunità che si manifesta attraverso i nuovi poteri dell’ente locale, deve essere difesa nell'integra visione cristiana del mondo. Don Alessandro Roncelli, che resterà in parrocchia fino al 1868, anno della sua prematura morte, nel segreto dell’urna è approvato dai consiglieri presenti “all'unanimità dei voti ” giacché, secondo la caldeggiante presentazione del sindaco-tutore, si tratta di “persona autorevole, proba e intelligente, e ha già dato (…) zelo e interessamento”. Ad alto livello, in questo periodo, è avviata la segreta trattativa tra Cavour e la Curia romana. Il primo ministro sta chiedendo alla Chiesa di rinunciare al potere temporale in cambio dell’indipendenza del Papato e alla Camera annuncia: “Noi siamo pronti a proclamare nell'Italia questo gran principio: Libera Chiesa in libero Stato”. Ma il Papa, pochi giorni addietro, nell'allocuzione concistoriale aveva riaffermato l’impossibilità di una conciliazione “col progresso e col liberalismo” e condannato la “moderna civiltà (…) madre e propagatrice feconda di infiniti errori (…). Essa inoltre accoglie nei pubblici uffici gli infedeli” apre “ai loro figli le pubbliche scuole” ostacola “i sodalizi religiosi nonché le sorveglianze del clero sull'istruzione”. Ciò che il papa teme dall'Italia unita, libera e liberale, a Terno non accade grazie alla sensibilità del sindaco cattolico-liberale. Oltre a sponsorizzare un sacerdote alla direzione delle laiche scuole elementari, per convincere ad accogliere tale incarico presso il diffidente Ispettorato degli Studi di Bergamo, nella prima lettera di presentazione della delibera comunale al provvisorio governo provinciale, Giuseppe Bravi elogia ed esalta le qualità morali, intellettive e “liberali” di don Alessandro Roncelli. Ma il colera, per la quarta volta in tre decenni, bussa alle porte del paese. Quando entra è l’ennesima strage. Sul registro parrocchiale si annotano più di cento morti: quaranta nel 1866 e sessantasette nel 1867 (il 10% della popolazione già decimata in precedenza). Si tratta di una gran sofferenza collettiva poiché, nella fase più acuta che si consuma tra la fine di giugno e l’inizio di luglio 1867, il dottor Pietro Bonacossa, vista l’impotenza della scienza medica, preceduto dalla coraggiosa ed eroica assistenza materiale e spirituale di don Alessandro Roncelli, si riduca a far da burocrate; ossia a saltare da una contrada all'altra per dichiarare all'ufficio di Stato civile i numerosi decessi. Sul finire di giugno, nella Contrada Stretta cessa di vivere per colera Antonio Bonati, trentasei anni, pizzicagnolo di Castegnate. Sempre in questa contrada muore il piccolo Giovanni Benaglia, sei anni, figlio d’Innocente e Giovanna Radaelli. Nella stessa corte Emilio Caio, 38 anni, marito di Maria Caccia, figlio d’Alessandro e Rachele Gambirasio. Poco distante, in via Medolago, è la volta di Antonio e Angelo Quadri, sei e diciannove anni. Accanto a loro è sfinito Giovanni Riva, quarantasette anni. Ma il dottor Bonacossa deve immediatamente recarsi alla frazione Carvisi poiché sono in fin di vita le sorelle Valsecchi, di quattro e un anno. Nella stessa corte di Carvisi muore Felice Mapelli, sette anni. Dopo Castegnate e Carvisi, nei primi giorni di luglio, l’epidemia invade l’abitato di Terno. In pochissimi giorni contagia e soccombe una ventina di persone. Tra loro il calzolaio Giovanni Galbusera, ventinove anni, sposato con Emilia Albani, figlio di Battista e Rosa Piatti. Abita in Contrada Mercato. Muore di colera anche la levatrice Geltrude Arruffi, vedova Cattaneo; ha sessantuno anni e abita al n. 62 della piazza. Don Alessandro, oltre a rischiare la propria vita portando conforto e l’estrema unzione ai tanti moribondi, deve assistere, rincuorare e portare i sacramenti anche in famiglia. A suo fratello Giuseppe, il patriota scampato nel 1859 ai mille pericoli delle battaglie di liberazione con Garibaldi, ora sconfitto mortalmente sul fronte del colera. Ha trentadue anni ed è celibe. Tra pochi mesi, il 21 marzo 1868, giorno del suo trentesimo compleanno, toccherà a don Alessandro morire consumato da“pleurite” nel rimpianto generale dei sopravvissuti poiché ancora si stava prodigando per l’assistenza e il conforto alla comunità. Una fotografia eccezionale, ristampata e distribuita come “immagine-ricordo” di un Sant’Uomo che si è prodigato con eroico altruismo al servizio cristiano della comunità, sarà conservata con affetto e devozione dalle sorelle Rota Rossi e consegnata a noi dagli eredi di Vittoria. Sul retro riporta l’iscrizione: “Don Alessandro Roncelli morto in odor di santità”. Qualche anno dopo la morte di don Alessandro, è insediato come coadiutore della Parrocchia di Terno, don Domenico Roncelli, il fratello minore anch'esso divenuto sacerdote.