I fratelli sacerdoti della famiglia Foiadelli di Osio Sopra.
COMMENTI
Sergio Limonta
14/12/2014 00:18
Egidio Foiadelli
Dopo aver frequentato il Collegio S. Carlo dell’Opera Pia Gervasoni in Valnegra con Giacinto, il fratello maggiore di un anno (che da parroco di Parzanica morirà prevosto a Monasterolo) Egidio Foiadelli diventa sacerdote a Bergamo il 25 luglio 1914. Il giorno dopo la prima messa al paesello natio davanti a due fratelli già sacerdoti, ad altri fratelli e sorelle e ai genitori. Iniziò con la poetica orazione: “O buon Gesù, che per la prima volta fra le mie mani Ostia di Pace e Amore, zelo di prete santo a me concedi, conforto celeste apporta ai miei genitori”. Ma la Grande guerra era alle porte. Nel 1916, dopo la breve esperienza a Songavazzo, ebbe il grado di sergente con l’incarico di Cappellano militare del Battaglione Edolo, 5° alpini, a Salò. Tra i reparti dell’Ospedale di Salò ebbe l’incontro, anzi, lo scontro verbale, con un robusto sacerdote che, con galloni e appariscenti baffoni marziali, stava confortando i feriti. Era il tenente cappellano alla Sanità, ma si presentava semplicemente come don Angelo Roncalli di Sotto il Monte, già segretario del vescovo Radini Tedeschi di Bergamo. Quanti sensi di colpa, a Cabanetti nel 1958, per l’animata discussione con quel sacerdote scelto dallo Spirito Santo per la Cattedra di S. Pietro con il nome di Giovanni XXIII. Rientrato da Verona, il giovane don Egidio fu inviato coadiutore a Terno d’Isola, magari su consiglio di don Luigi Foiadelli, già coadiutore di don Giuseppe Gentili (1890-1911) e poi economo spirituale della parrocchia S. Vittore in attesa di don Santo Borella (1912-1930). Da Terno a Chignolo d’Isola; poi a Stezzano. Il 18 marzo 1930 tornò Coadiutore a Terno e fu mandato a Cabanetti in sostituzione momentanea del Cappellano defunto. La domenica susseguente battezzò la prima parrocchiana al fonte battesimale dell’Annunziata con il nome di Barbara Fumagalli. Ma erano anni convulsi sul piano della collocazione parrocchiale dell’Annunziata. Prima del chiarificatore decreto vescovile dell’agosto 1943 transitava ufficiosamente tra le Parrocchia di: Fontanella del Monte, Bonate Sopra, Terno d’Isola, Sotto il Monte, Botta. L’ultimo battezzato in Cabanetti, prima di spostare i battesimi nella Pieve San Vittore, fu “Limonta Jacobus” nel luglio del ’43 (riprenderanno in seguito fino agli anni Settanta). Il 27 dicembre 1938, alla storica solennità di San Giovanni Battista in Cabanetti, troviamo ancora la presenza del rituale terzetto liturgico formato da don Candido Valsecchi, don Egidio Foiadelli e don Angelo Riva; ossia, il Parroco di Botta-Fontanella e i Cappellani di Cabanetti e Valtrighe (don Angelo Riva, nato a Bottanuco nel 1866, fu curato di Valtrighe dal 1896 al 1950). Nel 1942, fu ancora il Parroco di “Sante’Egidio e Sacro Cuore di Gesù” a dare l’assenso di fondere quattro delle cinque campane dell’Annunziata. Per tale motivo, nel 1953, la Parrocchia di Botta fu coinvolta in una disputa da don Giovanni Pesenti poiché, nella veste di subentrato “Rappresentante legale della chiesa di Cà Banetti” dovette aggiungere altre 240.000 lire ai contributi statali per rifondare il bel concerto in “sol bemolle” dell’Annunziata presso la ditta Luigi Ottolina di Seregno. La Parrocchia di Botta era chiamata in causa da don Pesenti quale responsabile di aver ceduto un carico di bronzo maggiore di quello previsto dal decreto fascista del 23 aprile 1942, offrendo l’87% al posto del 60%. Infatti, per undici anni, sul campanile dell’Annunziata rimase la sola campana più piccola. Dopo l’inutile mediazione della Curia per riappacificare gli animi degli abitanti alle cascine, che nel ’53 non volevano pagare l’umiliazione del “42, il sindaco Colleoni di Bonate Sopra intervenne “in via straordinaria” con un contributo comunale di lire 10.000. Campane e parte superiore del campanile, croce di ferro e impianto elettrico, saranno rovinosamente colpiti verso l’alba del 18 maggio 2008 dal fulmine di un violento temporale e alcuni pezzi di muraglia crolleranno sul tetto della chiesa sottostante causando fessure e infiltrazioni d’acqua piovana. Ma don Egidio, quando si stabilì ufficialmente in Cabanetti nel 1931, si affezionò subito alla missione di cappellano e si diede da fare per costruire, anche con le proprie ruvide mani di lavoratore della terra, la nuova canonica-cascina a nord di strada e chiesa, proprio laddove, per secoli, vi era la profonda fossa d’acqua alimentata dal Dordo. Probabilmente era anche per questa collocazione che il casale di don Egidio galleggiava sull’acqua e la cantina, una cisterna stracolma. Tale canonica fu costruita con un credito personale, rimborsato a rate con la paga mensile, della sua “benestante” perpetua. Un prete muratore, dunque, ma anche contadino, con due mucche, un orto e qualche ettaro di terra da coltivare e offrire a mezzadria. Un uomo rustico? Probabilmente sì! In sintonia con la gente e le enormi difficoltà del tempo. Alessandro Mazzola così lo ricorda: “Era un uomo schivo di complimenti e di esteriorità, come la maggior parte dei sacerdoti del tempo, dedito alla sua chiesa, alla musica sacra e ai bisogni della sua gente. Mi tornano alla mente l’ardore, la passione e la solennità con cui celebrava ogni ufficio divino. Nelle feste grandi, ultimata la funzione, andava sull’organo grande e si metteva a suonare. La gente, ascoltandolo, dimenticava per un attimo la stanchezza del duro lavoro settimanale nei campi. A ogni avvicendarsi delle stagioni, uomini e donne del paese si recavano presso la sua abitazione per aiutarlo nella vendemmia, nella raccolta del mais e per il recupero di scartòs e resulì, che era poi bruciato d’inverno nel camino del suo studio”. Anche il cosiddetto predichì, tenuto nel maggio di ogni anno, è rimasto memorabile tra la gente del posto. Alla nostra indagine, oltre all’Archivio di Cabanetti, ci sono giunti i trenta libretti “minuti”, con copertine nere e pagine fittamente trascritte da lui a matita, che testimoniano un’oratoria evangelica: incredibilmente alta e penetrante in questa campagna di cultura primaria. Anzi, da documenti giovanili scopriamo che, come Cappellano nell’Ospedale Militare di Salò nel 1916, poi nella chiesa di San Pancrazio a Verona nel 1917, il sergente don Egidio Foiadelli ebbe a tener panegirici di alta levatura teologica e sociale. Certo, erano ancora anni di grande tensione tra Stato e Chiesa, tra Governo liberale e Chiesa, tra Socialismo anticlericale e Chiesa, poiché troviamo trascritti da don Egidio richiami anche al rigore istituzionale: “Se si pensa che in 74 anni, il Governo ebbe la bellezza di 64 crisi ministeriali. In pratica uno all’anno”(1918). Oppure: “(…) meno male che certi amici rossi anticlericali fanno soltanto chiacchiere” (1922) (12). Semplici battute, che lasciano tuttavia intuire una radicale difesa allo Spirito libero della Chiesa, che interpretiamo come amore cristiano per la Salvezza universale dell’umanità iniziando dalla propria Comunità cristiana. I forti richiami al paternalismo sociale sono noti anche in Cabanetti: ma questi, nel secolo trascorso, erano una caratteristica dei sacerdoti che volevano difendere i fedeli dal Liberismo, dal Socialismo e dal Modernismo per caricarsi poi di tutte le sofferenze popolari, comprese quelle dei numerosi lutti giovanili determinati dalle guerre. Il rustico don Egidio, come un padre patriarcale, gioiva e soffriva con la famiglia comunitaria, come quando vide spegnersi lentamente accanto a lui, nel luglio del ’45, il giovane Giacomo Maestroni di venticinque anni, tornato dal fronte greco - albanese distrutto nel fisico e nella mente, e di Elena Mazzola, spirata nei giorni del suo diciottesimo compleanno nel giugno 1955. Gioiva e soffriva in silenzio. Nel frattempo si attivava in quello che in più credeva: ossia per la salvezza delle anime, ma agiva anche per sostentare concretamente le famiglie bussando discretamente presso lo “Stabilimento Dalmine”, passando prima dalle sue conoscenze a Osio Sopra, per dare un lavoro ai capifamiglia disoccupati. Nel novembre 1944, indicato dal parroco di Presezzo don Luigi Locatelli, fu convocato in Curia da don Luigi Cortesi come testimone diretto delle apparizioni mariane del mese di maggio: “Siccome è stato citato il Vostro nome nell’appoggiare la storicità di alcuni particolari dei fatti di Ghiaie, vi prego di informarmi esattamente, minimamente, su tutto ciò che avete udito e visto personalmente”. Preoccupato per la grande responsabilità riposta in lui e vista la relazione negativa del parroco di Presezzo, rispose: “(…) circa le presunte apparizioni delle Ghiaie il sottoscritto nulla a proposito conosce di concreto”. Nel 1949, anche in Cabanetti ci fu la visita della Madonna Pellegrina. Don Egidio stese una lunga lode in suo onore..
Don Egidio cessò di vivere il 25 giugno 1971. Fu assistito con amore fino all’ultimo anche dai suoi fedeli. Le spoglie riposano nella Cappella di don Giuseppe Rot
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Sergio Limonta
14/12/2014 00:18
Egidio Foiadelli
Dopo aver frequentato il Collegio S. Carlo dell’Opera Pia Gervasoni in Valnegra con Giacinto, il fratello maggiore di un anno (che da parroco di Parzanica morirà prevosto a Monasterolo) Egidio Foiadelli diventa sacerdote a Bergamo il 25 luglio 1914. Il giorno dopo la prima messa al paesello natio davanti a due fratelli già sacerdoti, ad altri fratelli e sorelle e ai genitori. Iniziò con la poetica orazione: “O buon Gesù, che per la prima volta fra le mie mani Ostia di Pace e Amore, zelo di prete santo a me concedi, conforto celeste apporta ai miei genitori”. Ma la Grande guerra era alle porte. Nel 1916, dopo la breve esperienza a Songavazzo, ebbe il grado di sergente con l’incarico di Cappellano militare del Battaglione Edolo, 5° alpini, a Salò. Tra i reparti dell’Ospedale di Salò ebbe l’incontro, anzi, lo scontro verbale, con un robusto sacerdote che, con galloni e appariscenti baffoni marziali, stava confortando i feriti. Era il tenente cappellano alla Sanità, ma si presentava semplicemente come don Angelo Roncalli di Sotto il Monte, già segretario del vescovo Radini Tedeschi di Bergamo. Quanti sensi di colpa, a Cabanetti nel 1958, per l’animata discussione con quel sacerdote scelto dallo Spirito Santo per la Cattedra di S. Pietro con il nome di Giovanni XXIII. Rientrato da Verona, il giovane don Egidio fu inviato coadiutore a Terno d’Isola, magari su consiglio di don Luigi Foiadelli, già coadiutore di don Giuseppe Gentili (1890-1911) e poi economo spirituale della parrocchia S. Vittore in attesa di don Santo Borella (1912-1930). Da Terno a Chignolo d’Isola; poi a Stezzano. Il 18 marzo 1930 tornò Coadiutore a Terno e fu mandato a Cabanetti in sostituzione momentanea del Cappellano defunto. La domenica susseguente battezzò la prima parrocchiana al fonte battesimale dell’Annunziata con il nome di Barbara Fumagalli. Ma erano anni convulsi sul piano della collocazione parrocchiale dell’Annunziata. Prima del chiarificatore decreto vescovile dell’agosto 1943 transitava ufficiosamente tra le Parrocchia di: Fontanella del Monte, Bonate Sopra, Terno d’Isola, Sotto il Monte, Botta. L’ultimo battezzato in Cabanetti, prima di spostare i battesimi nella Pieve San Vittore, fu “Limonta Jacobus” nel luglio del ’43 (riprenderanno in seguito fino agli anni Settanta). Il 27 dicembre 1938, alla storica solennità di San Giovanni Battista in Cabanetti, troviamo ancora la presenza del rituale terzetto liturgico formato da don Candido Valsecchi, don Egidio Foiadelli e don Angelo Riva; ossia, il Parroco di Botta-Fontanella e i Cappellani di Cabanetti e Valtrighe (don Angelo Riva, nato a Bottanuco nel 1866, fu curato di Valtrighe dal 1896 al 1950). Nel 1942, fu ancora il Parroco di “Sante’Egidio e Sacro Cuore di Gesù” a dare l’assenso di fondere quattro delle cinque campane dell’Annunziata. Per tale motivo, nel 1953, la Parrocchia di Botta fu coinvolta in una disputa da don Giovanni Pesenti poiché, nella veste di subentrato “Rappresentante legale della chiesa di Cà Banetti” dovette aggiungere altre 240.000 lire ai contributi statali per rifondare il bel concerto in “sol bemolle” dell’Annunziata presso la ditta Luigi Ottolina di Seregno. La Parrocchia di Botta era chiamata in causa da don Pesenti quale responsabile di aver ceduto un carico di bronzo maggiore di quello previsto dal decreto fascista del 23 aprile 1942, offrendo l’87% al posto del 60%. Infatti, per undici anni, sul campanile dell’Annunziata rimase la sola campana più piccola. Dopo l’inutile mediazione della Curia per riappacificare gli animi degli abitanti alle cascine, che nel ’53 non volevano pagare l’umiliazione del “42, il sindaco Colleoni di Bonate Sopra intervenne “in via straordinaria” con un contributo comunale di lire 10.000. Campane e parte superiore del campanile, croce di ferro e impianto elettrico, saranno rovinosamente colpiti verso l’alba del 18 maggio 2008 dal fulmine di un violento temporale e alcuni pezzi di muraglia crolleranno sul tetto della chiesa sottostante causando fessure e infiltrazioni d’acqua piovana. Ma don Egidio, quando si stabilì ufficialmente in Cabanetti nel 1931, si affezionò subito alla missione di cappellano e si diede da fare per costruire, anche con le proprie ruvide mani di lavoratore della terra, la nuova canonica-cascina a nord di strada e chiesa, proprio laddove, per secoli, vi era la profonda fossa d’acqua alimentata dal Dordo. Probabilmente era anche per questa collocazione che il casale di don Egidio galleggiava sull’acqua e la cantina, una cisterna stracolma. Tale canonica fu costruita con un credito personale, rimborsato a rate con la paga mensile, della sua “benestante” perpetua. Un prete muratore, dunque, ma anche contadino, con due mucche, un orto e qualche ettaro di terra da coltivare e offrire a mezzadria. Un uomo rustico? Probabilmente sì! In sintonia con la gente e le enormi difficoltà del tempo. Alessandro Mazzola così lo ricorda: “Era un uomo schivo di complimenti e di esteriorità, come la maggior parte dei sacerdoti del tempo, dedito alla sua chiesa, alla musica sacra e ai bisogni della sua gente. Mi tornano alla mente l’ardore, la passione e la solennità con cui celebrava ogni ufficio divino. Nelle feste grandi, ultimata la funzione, andava sull’organo grande e si metteva a suonare. La gente, ascoltandolo, dimenticava per un attimo la stanchezza del duro lavoro settimanale nei campi. A ogni avvicendarsi delle stagioni, uomini e donne del paese si recavano presso la sua abitazione per aiutarlo nella vendemmia, nella raccolta del mais e per il recupero di scartòs e resulì, che era poi bruciato d’inverno nel camino del suo studio”. Anche il cosiddetto predichì, tenuto nel maggio di ogni anno, è rimasto memorabile tra la gente del posto. Alla nostra indagine, oltre all’Archivio di Cabanetti, ci sono giunti i trenta libretti “minuti”, con copertine nere e pagine fittamente trascritte da lui a matita, che testimoniano un’oratoria evangelica: incredibilmente alta e penetrante in questa campagna di cultura primaria. Anzi, da documenti giovanili scopriamo che, come Cappellano nell’Ospedale Militare di Salò nel 1916, poi nella chiesa di San Pancrazio a Verona nel 1917, il sergente don Egidio Foiadelli ebbe a tener panegirici di alta levatura teologica e sociale. Certo, erano ancora anni di grande tensione tra Stato e Chiesa, tra Governo liberale e Chiesa, tra Socialismo anticlericale e Chiesa, poiché troviamo trascritti da don Egidio richiami anche al rigore istituzionale: “Se si pensa che in 74 anni, il Governo ebbe la bellezza di 64 crisi ministeriali. In pratica uno all’anno”(1918). Oppure: “(…) meno male che certi amici rossi anticlericali fanno soltanto chiacchiere” (1922) (12). Semplici battute, che lasciano tuttavia intuire una radicale difesa allo Spirito libero della Chiesa, che interpretiamo come amore cristiano per la Salvezza universale dell’umanità iniziando dalla propria Comunità cristiana. I forti richiami al paternalismo sociale sono noti anche in Cabanetti: ma questi, nel secolo trascorso, erano una caratteristica dei sacerdoti che volevano difendere i fedeli dal Liberismo, dal Socialismo e dal Modernismo per caricarsi poi di tutte le sofferenze popolari, comprese quelle dei numerosi lutti giovanili determinati dalle guerre. Il rustico don Egidio, come un padre patriarcale, gioiva e soffriva con la famiglia comunitaria, come quando vide spegnersi lentamente accanto a lui, nel luglio del ’45, il giovane Giacomo Maestroni di venticinque anni, tornato dal fronte greco - albanese distrutto nel fisico e nella mente, e di Elena Mazzola, spirata nei giorni del suo diciottesimo compleanno nel giugno 1955. Gioiva e soffriva in silenzio. Nel frattempo si attivava in quello che in più credeva: ossia per la salvezza delle anime, ma agiva anche per sostentare concretamente le famiglie bussando discretamente presso lo “Stabilimento Dalmine”, passando prima dalle sue conoscenze a Osio Sopra, per dare un lavoro ai capifamiglia disoccupati. Nel novembre 1944, indicato dal parroco di Presezzo don Luigi Locatelli, fu convocato in Curia da don Luigi Cortesi come testimone diretto delle apparizioni mariane del mese di maggio: “Siccome è stato citato il Vostro nome nell’appoggiare la storicità di alcuni particolari dei fatti di Ghiaie, vi prego di informarmi esattamente, minimamente, su tutto ciò che avete udito e visto personalmente”. Preoccupato per la grande responsabilità riposta in lui e vista la relazione negativa del parroco di Presezzo, rispose: “(…) circa le presunte apparizioni delle Ghiaie il sottoscritto nulla a proposito conosce di concreto”. Nel 1949, anche in Cabanetti ci fu la visita della Madonna Pellegrina. Don Egidio stese una lunga lode in suo onore..
Don Egidio cessò di vivere il 25 giugno 1971. Fu assistito con amore fino all’ultimo anche dai suoi fedeli. Le spoglie riposano nella Cappella di don Giuseppe Rot
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